SHARRYLAND
Dov'è
Cos'è e dov'è
Agli occhi di chi arriva dal ponte di legno, dopo le prospettive strette delle calli, Sant'Alvise appare come un grosso edificio che qualcuno di ancor più grosso ha spinto a forza ai margini di un campo, come se fosse più adatto a far da “muro”, piuttosto che da “chiesa”, al centro dello spazio che sembra ora provvisoriamente vuoto. E anzi, allo stesso modo della chiesa che gli dà questo nome bizzarro, anche il campo sembra esser stato confinato sul cocuzzolo di Venezia, il Capo Nord dell'isola. Intorno non c'è nessuno. A sinistra, molto lontano, si intuisce il brulichio sotto le gru di porto Marghera. E si sentono appena le grida dei battellieri sui canali e dei gabbiani sulle altane.
Perché è speciale
Alla voce “chiesa gotica” in tanti ci figuriamo per prime le alte guglie e le vetrate strette delle cattedrali di Francia: di certo non un ammasso di mattoni un po' banale come questo, slanciato da poche lesene, sbiancato dal portale (nella solita pietra d'Istria) che ne fora la facciata – sembra – per carità del bambino che ha disegnato il progetto. Ma il giudizio è troppo severo. Austero sì, ma molto elegante si presenta Sant'Alvise. Diciamo almeno che l'architetto non “brillava” nella pratica del Light engineering: all'interno, le tele sulle pareti sono immerse nella penombra perché le timide finestre non bastano a illuminarne il concerto dei colori. Mettiamola allora così: i francesi gotici lanciarono l'ottima idea di alzare i soffitti, ma noi, italiani, eravamo troppo attaccati alle nostre pitture per rimpiazzarle con i punti luce necessari a farle vedere. Per risolvere questo buio, a Sant'Alvise, due secoli più tardi, dipinsero il cielo azzurro direttamente sul soffitto: Pietro Antonio Torri e Pietro Ricchi, una visione della Gerusalemme celeste per non far calare mai la notte su questi spazi sacri.
Da non perdere
Sul finire del Quattrocento, la chiesa di Sant'Alvise acquisì tre importanti reliquie della Passione di Cristo, le quali ispirarono, negli anni Trenta del XVIII secolo, altrettante tele al maestro della pittura dell'epoca. In origine parti di un unico trittico, la Flagellazione, la Salita al Calvario e l'Incoronazione di spine di Giambattista Tiepolo fanno parte di quel numero di capolavori che ingombra le cappelle veneziane, e di cui ignoreremmo l'esistenza, se non ce ne informassero le didascalie accanto i portoni d'ingresso. Il dipinto maggiore, in particolare, drammaticissimo, grandiloquente, nella scelta delle tinte e nell'accordo dei toni, nello sciogliersi delle linee a formare i volumi, nella disposizione delle figure, tutte contorte e contrite, dimostra – e non è difficile crederlo – la passione del suo artista per il melodramma, tanto di moda nella Venezia settecentesca.
Un po' di storia
Dice la leggenda che fu il santo in persona, Lodovico da Tolosa, a indicare il luogo di fondazione, nel 1388, della sua chiesa veneziana. Ma per il fatto di essere apparso in sogno proprio alla nobildonna Antonia Venier, e non ad un'altra fiorentina o napoletana, il suo nome divenne Alvise, il più veneziano di tutti. Sant'Alvise? Siamo di fronte ad un nuovo “san Zanipolo”, il santo mutante, figlio di Giovanni-Zuane e Paolo-Polo? No, questa volta non c'entra un fantasioso dipintore di ninzioleti (i cartelli “stradali” lagunari). Alvise è roba da filologi, è come chiamano i Ludwig e i Louis a Venezia.
Curiosità
Affisse alla controfacciata della chiesa ci sono otto tavolette dipinte, firmate “Vittore Carpaccio”. Lui in persona? Il maestro della Scuola dalmata di San Giorgio e delle Storie di sant'Orsola? No, diciamo piuttosto un Lazzaro Bastiani in un eccesso di autostima. Può capitarvi però di imbattervi qui in un'opera del pittore che dà il nome alla via di casa vostra, come è capitato a chi scrive, che abita in via P. Damini, e di Pietro Damini – artista non mediocre ma neanche da Grande Galerie – ha potuto vedere un San Ludovico consacrato vescovo di Tolosa, appeso sulla parete destra, proprio sotto la galleria di finestre inferriate, alle quali si sono affacciate per secoli le monache dell'adiacente convento.
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