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Museo Casa di Arlecchino
In un antico palazzo rivive la tradizione delle maschere e dei burattini
Dov'è
Cos'è e dov'è
Ci troviamo ad Oneta, l'antico borgo bergamasco patria degli zanni e di Arlecchino. La cosiddetta «Casa di Arlecchino» è in realtà un antico palazzo signorile. Seguendo il nome che la tradizione le ha voluto dare, la Casa di Arlecchino oggi è un museo che conserva una selezione di maschere dei personaggi della commedia dell’arte e dal 2015 ospita il teatro stabile di burattini della Compagnia del Riccio.
Perché è speciale
L’edificio è di origine medievale e aveva probabilmente una funzione difensiva del borgo, collocato lungo la Via Mercatorum. Divenne dimora signorile tra il Quattrocento e il Seicento, quando fu acquistato e ristrutturato dalla potente casata locale dei Grataroli. I Grataroli vantavano grandi ricchezze acquisite a Venezia. Forse per questo, forse per darsi un tono e distinguersi dagli altri, importarono qui ad Oneta il tipico gusto architettonico della città lagunare, facendo del loro palazzo l’unico esempio di architettura veneta in Valle Brembana.
Da non perdere
Nel suo rifacimento sul modello veneziano, la casa venne arricchita con pregevoli affreschi, visibili ancora oggi entrando nel grande salone, la Camera Picta. Gli affreschi, databili alla seconda metà del XV secolo, testimoniano l’ascesa dei Grataroli. Vi si raffigura un torneo cavalleresco dove i membri della famiglia, distinguibili per la «gratarola» (la grattugia) sullo scudo, sconfiggono i nemici, dimostrando il loro potere alle famiglie nobiliari della valle, raffigurate negli stemmi che contornano la scena.
Un po' di storia
Secondo la tradizione visse a Palazzo Grataroli l'attore rinascimentale Zan Ganassa (al secolo Alberto Naselli), che rappresentò lo Zanni e Arlecchino nelle principali corti europee. E sembra che sia per questo che l'edificio ancora oggi porta il nome di «Casa di Arlecchino».
Curiosità
All’ingresso del Palazzo è visibile un affresco che rappresenta un uomo con un bastone in mano accompagnato dalla scritta: Chi no è de chortesia, non intrighi in casa mia. Se ge venes un poltron, ghe darò del mio baston. Questo dipinto è una rappresentazione dell’Homo Selvadego, figura popolare diffusa nelle comunità retico-alpine e metafora dell’attaccamento dell’uomo alla propria terra e del suo rapporto con i cicli della natura.
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